Da oltre cinquecento anni la storia della tenuta di Vitigliano è legata a quella di personaggi eccezionali della storia fiorentina. Questi uomini – un grande navigatore, il rampollo straordinario d’una delle famiglie più nobili di Firenze e il proprietario leggendario di uno dei giornali italiani più importanti – sono tra quelli che hanno assicurato la posizione preminente di Firenze nel pensiero e nella politica italiana. La sontuosa casa e le sue terre furono trascurate negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale per rinascere, come Borgo di Vignamaggio, nel Ventunesimo secolo.

Dal Chianti alla baia di New York: Giovanni da Verrazzano

La storia comincia nel Quattordicesimo secolo, con l’acquisizione dei terreni e la costruzione di un imponente palazzo da parte della famiglia Da Verrazzano, una delle famiglie più potenti e ricche della Toscana. I componenti della famiglia svolsero alte funzioni nel governo della città, ai tempi della repubblica fiorentina, e la loro ricchezza si costruì sulle rendite dei ricchi terreni in Val di Greve.

Giovanni da Verrazzano, terzo di quattro figli, nacque nel 1485. Divenne esploratore e navigatore, scoprendo la baia, sulla costa atlantica dell’America settentrionale, dove, anni dopo, fu costruita New York. Il Verrazzano non ebbe la fama di altri navigatori dei suoi tempi, ma nel Ventesimo secolo, finalmente, fu dato il suo nome al ponte che collega Staten Island e Brooklyn a New York. 

Tipico uomo del Rinascimento, con un interesse inesauribile per la scienza e le arti, il Verrazzano venne educato in una Firenze che, a quei tempi, era un centro di cultura importantissimo che attirava intellettuali, esploratori e navigatori.

È probabile che Giovanni trascorresse giornate felici nelle tenute di campagna in Val di Greve, giocando con l’adorato fratellino Girolamo, tra gli ulivi e i boschi di Vitigliano, prima di partire per svolgere gli studi in città.  I due fratelli furono sempre molto legati, anche da adulti, e infatti Girolamo divenne cartografo e finì per accompagnare il fratello nelle sue spedizioni.

A quell’epoca, i contatti commerciali tra Firenze e la Francia erano frequentissimi e Giovanni trovò lavoro come navigatore nelle flotte francesi. Nel 1522, il re di Francia, Francesco I, gli chiese di organizzare una spedizione verso le nuove terre d’America, per cercare di trovare un passaggio marittimo che potesse portare dall’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico . 

I costi del viaggio erano enormi, ma, come accadeva spesso in quel periodo, i banchieri fiorentini, ormai benefattori abituali delle arti e delle scienze, si mostrarono disponibili. La famiglia Gondi, una delle famiglie più ricche di Firenze, aveva già interessi mercantili in Francia. Esportava da tempo tessuti fiorentini e Antonio II di Gondi si era addirittura trasferito a Lione. Qui, nel 1520, aveva comprato un imponente palazzo ed era diventato banchiere alla corte di Francesco I.

Quando Giovanni da Verrazzano gli chiese aiuto, Gondi si diede subito da fare. La famiglia stessa donò quasi un quarto dell’ingente somma necessaria all’impresa, il resto fu donato dalla banca personale, dagli alti ceti di Firenze e dal re di Francia. Per riconoscenza, Giovanni da Verrazzano diede il nome della sposa di Antonio, Marie Catherine de Pierre vive, ad una isoletta che scoprì vicino alla costa americana, chiamandola Pietra Viva.

Tre delle quattro navi che partirono con Verrazzano affondarono, ma lui riuscì ad arrivare alla costa del North Carolina alla fine di marzo 1523, per poi  continuare verso Nord. Incontrò tribù di nativi americani come i Lenape, i Wampanoag e i Narrangasett. Poi si diresse ancora più a Nord, fino a Terranova. Descrisse con entusiasmo lo splendido abbigliamento piumato dei nativi e la meravigliosa flora e fauna del nuovo continente.

Tornato in Francia, Verrazzano ripartì subito per nuove destinazioni. Per tutta la vita si era considerato “un vero Fiorentino”, ma non riuscì a rivedere la sua amata Val di Greve. Il fratello, Girolamo, che l’accompagnò nell’ultimo, fatidico viaggio, ci lascia un racconto raccapricciante della morte del fratello, ammazzato e mangiato da cannibali sull’isola di Guadalupe. 

Storia di un Marchese e di una squadra di calcio

Si susseguirono generazioni della famiglia da Verrazzano a Vitigliano, ma alla fine dell’Ottocento si presentò un altro uomo “rinascimentale”, un degno erede di Giovanni da Verrazzano. Amante della politica, dello sport, dell’arte, il Marchese Luigi Ridolfi Vaj da Verrazzano, nato nel 1895, entrò in possesso della tenuta di Vitigliano nel 1925 e nel 1928 fondò la Società Anonima Toscana Immobiliare Agricola per gestire i prodotti delle sue proprietà – olio, vino, grano –, una ricchezza agricola su cui si basò la sua fortuna.

Il Marchese, uomo affascinante, alto, imponente, con occhi blu e lineamenti regolari da star cinematografica, fu un eroe della Prima Guerra mondiale, ma anche un uomo capace di guardare al futuro. Le sue passioni furono lo sport, l’arte e il design. Il nascente movimento futurista – che celebrava il nuovo, la tecnologia, la velocità e la forza dell’uomo – lo entusiasmò e così divenne amico e benefattore di artisti, musicisti e poeti.

Fiorentino appassionato e fanatico di sport, il Marchese presto trovò l’espressione idonea delle sue passioni: nel 1926 fondò l’Associazione Calcio Fiorentina per dare nuova energia alla squadra di Firenze e renderla capace di vincere a livello nazionale. Con il Marchese come mecenate, nello stile delle famiglie rinascimentali della città, la squadra della Fiorentina arrivò alle vette del calcio. Il Marchese si impegnò in tutti gli aspetti della vita della squadra; lo stemma della Fiorentina, il giglio bottonato rosso, è anche il simbolo di Firenze. Il marchese Ridolfi modificò il design per renderlo più semplice, slanciato e dinamico.

Per permettere alla “sua” squadra di giocare in un impianto sportivo degno di Firenze, si impegnò per la costruzione di un nuovo stadio, progettato da un giovane architetto, Pierluigi Nervi. Lo Stadio Comunale fu un’opera grandiosa, futuristica e Nervi divenne uno dei maggiori architetti del XX Secolo. 

Nello stesso periodo trovò il tempo per fondare il “Maggio Musicale Fiorentino”, che si svolge ancora ogni anno, e nel 1936 fu a capo della delegazione olimpica italiana alle Olimpiadi di Berlino. Nello stesso anno, però, fu protagonista di una bruttissima disavventura economica. Il marchese, che aveva finanziato la costruzione dello stadio della Fiorentina con i propri soldi, si rese conto che non era in grado di saldare il debito che aveva contratto con Egidio Favi, editore e proprietario del quotidiano La Nazione, anche lui fiorentino. Col cuore spezzato, il marchese fu costretto a cedere la tenuta di Vitigliano a Favi.  

 

L’era Favi

Si può dire che anche Favi, forte, deciso e acuto, era un “Super Toscano”. La Nazione era nata nel 1859, quasi contemporaneamente alla nazione italiana, e Firenze era ancora una piccola città murata, come ai tempi del Rinascimento. Ma, proprio come a quei tempi, il capoluogo toscano era un crogiuolo di idee politiche e culturali. Favi acquisì il giornale nel 1915 e sfruttò lo spirito toscano di apertura verso il mondo per creare un grande quotidiano che, allo stesso tempo, conservasse un sapore unicamente fiorentino. 

Con Favi iniziarono gli “anni d’oro” de La Nazione, che durarono fino alla Seconda Guerra Mondiale. Durante il conflitto, il giornale perse ogni brillantezza e, verso la fine, uffici e macchine furono praticamente distrutti o rovinati, poiché i tedeschi avevano fatto la consueta razzia. 

 

La “Bella addormentata nel bosco”

Ma anche i palazzi signorili nelle campagne di Firenze subirono le conseguenze della guerra. Nei lavori di ristrutturazione al Borgo di Vignamaggio (già Vitigliano), sono stati trovati scritte e disegni, incisi da soldati e prigionieri nell’intonaco delle sale, e molti abitanti anziani nei paesi vicini conservano ricordi dei danni subiti. 

Danneggiato dalla guerra, il palazzo non fu ristrutturato nell’immediatezza degli anni duri che seguirono. Favi dedicò le sue energie a ricostruire La Nazione e morì nel 1948, lasciando in lutto tutta Firenze. 

Con la sua morte, il palazzo diventò veramente una “Bella addormentata nel bosco”. Le erbacce cominciarono a conquistare i cortili, la boscaglia invase i boschi. La cappella e il palazzo stesso assunsero un’aria triste e trasandata fino al 2017, quando i proprietari del gran palazzo di Vignamaggio decisero di svegliare la “Bella addormentata” per farla diventare il posto più romantico al mondo, ideale per un matrimonio da sogno.

 

Scopri Il Borgo di Vignamaggio